Spesso accade che le separazioni tra coniugi siano lunghe e di difficile conclusione, a causa dei dissidi e contrapposte esigenze delle parti in merito agli aspetti economici e all’affidamento dei figli minori.
Non che i coniugi non intendano separarsi, quindi, ma le condizione della separazione possono non essere di semplice definizione.
Proprio per tale ragione è frequente che una volta ricevuta dai coniugi la conferma della volontà, di separarsi, il Giudice della separazione pronunci una sentenza non definitiva con cui viene sciolto, intano, il vincolo matrimoniale, proseguendo invece il giudizio per le altre questioni. Una volta definite anche quelle, verrà emessa sentenza definitiva.
Il punto è che tra il momento della sentenza parziale sul vincolo- che non è obbligatoria, e va richiesta su istanza di parte - e quello della sentenza definitiva che chiude il giudizio di separazione possono passare anche molti mesi, anche anni, specie se le parti sono litigiose e vi è necessità di una lunga istruttoria.
A seguito della entrata in vigore della legge c.d. sul “divorzio breve”, ossia la n. 55/15 i termini per la presentazione della domanda di divorzio si sono notevolmente accorciati, essendo possibile presentarla decorso 1 anno dalla presentazione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale (prima erano 3), per cui è evidente che sia tutt’altro che infrequente che l’anno sia passato, la sentenza sul vincolo sia stata pronunciata, ma ancora il giudizio di separazione sia pendente (si precisa che il termine dalla comparizione innanzi al Presidente del Tribunale è di 1 anno in caso di separazione contenziosa, mentre è di 6 mesi in caso di divorzio consensuale, ma stante la consensualità è chiaro che non si possa verificare la situazione di perduranza del giudizio per mancato accordo, tema che interessa in questo caso).
Che succede, quindi, se i coniugi intendono nel divorziare? Possono farlo pur pendendo ancora il giudizio di separazione?
E’ una domanda non infrequente, la cui risposta è certamente positiva, ma che richiede alcune accortezze attuative che è necessario conoscere e seguire.
L’ 3 della legge 898/78, riformata dalla L. 55/15, impone come requisiti pregiudiziali per la presentazione della domanda di divorzio, a seguito di precedente domanda di separazione:
- Il protrarsi ininterrotto della separazione tra i coniugi per 6 mesi dalla data di comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale, in caso di separazione consensuale, ovvero di 1 anno, in caso di separazione giudiziale (questo, come detto, a seguito della riduzione dei termini introdotta con la legge 55/2015 c.d “Legge sul Divorzio breve”);
- Il passaggio in giudicato - ossia la definitività -, della sentenza di separazione tra i coniugi.
Quindi è la legge che ci dice che sia possibile presentare domanda di divorzio pur pendendo ancora giudizio di separazione, a patto che vengano rispettati i due requisiti indicati.
Il primo requisito è quello temporale dalla presentazione dei coniugi dinnanzi al Presidente del Tribunale, per cui basterà attendere il decorso del termine annuale perché sia soddisfatto.
Quanto alla sentenza di separazione, la legge ne parla in generale, non precisando nulla circa la possibilità di ottenere sentenza non definitiva di separazione. Questo è quindi il primo aspetto a cui il legale deve pensare, inserendo in atti apposita domanda di pronuncia di sentenza non definitiva sul vincolo, che, come accennato, è eventuale (nulla impedisce di attendere l’esito del giudizio anche per questo aspetto, se le parti non hanno interesse ad anticipare la pronuncia).
Tale sentenza, poi, dovrà essere passata in giudicato, ovvero dovranno essere decorsi i termini per la sua impugnazione in modo tale che essa sia divenuta definitiva. Per abbreviare questo iter di passaggio, sarà dunque opportuno che il legale notifichi alla controparte la sentenza non definitiva, e questa, decorsi 30 giorni dalla notifica, se non impugnata passerà in giudicato.
A questo punto, sarà possibile introdurre il giudizio di divorzio, che, in difetto di uno soltanto dei due requisiti, verrà dichiarato inammissibile, con rischio anche di condanna alle spese legali. Si tratta quindi id una verifica preliminare fondamentale.
Il passo successivo riguarda il tentativo di coordinamento tra i due giudizi.
Anche questo aspetto è, molto importante atteso che dal momento della comparizione dei coniugi innanzi al Giudice del divorzio, sarà questi e solo questi a divenire competente per le residue questioni ancora non decise nel giudizio di separazione. Nel caso in cui il Tribunale competente per i due giudizi sia il medesimo, come generalmente accade, sarebbe dunque auspicabile che il magistrato chiamato a decidere dei due giudizi fosse lo stesso, per evidenti ragioni di economia processuale e maggior speditezza e coerenza tra le decisioni.
La legge non dispone nulla al riguardo, per cui la prassi operativa è devoluta ai singoli Tribunali.
L’orientamento prevalente favorisce l’assegnazione della causa di divorzio al giudice innanzi a cui pende la separazione, su istanza di parte o anche d’ufficio - ad esempio, d’ufficio procede in tale senso il Tribunale di Bologna-. Nel dubbio, è comunque opportuno che la richiesta venga avanzata in atti dal legale.
Se poi lo stato della separazione non è troppo avanzato rispetto al nascente giudizio di divorzio, una possibilità da valutare, e che appare preferibile, è la richiesta di riunione dei due giudizi, in modo da consentirne la contemporanea decisione ed utilizzabilità delle prove acquisite, con notevole vantaggio non solo di tempi ma anche economico per le parti, spesso impegnate in consulenze tecniche anche onerose.
Chiaramente queste valutazioni dovranno essere svolte attentamente già prima di introdurre il giudizio di divorzio, e le relative istanze dovranno essere formulate e motivate già in ricorso introduttivo.
Il nostro studio si propone quale valido referente per cercare di approntare la migliore strategia per il cliente che si trovi a dovere gestire questa delicata situazione, in base alle sue concrete esigenze e valutata con coerenza la prassi operativa giurisprudenziale.