Come noto, ormai da diversi anni, alcuni cittadini sono tenuti a dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata in quanto titolari di impresa individuale (art. 5, commi 1 e 2, d.l. n. 179/2012) o in quanto professionisti (ex art. 16, comma 7, d.l. 29.11.2008, n. 185, conv. dalla l. 2.1.2009, n. 2). In entrambi i casi l’indirizzo di posta elettronica certificata, ossia la PEC, è associato al codice fiscale del suo titolare ed è rinvenibile in appositi elenchi e/o registri pubblici (come INI-PEC, ad esempio).
La PEC è diventata anche un utilissimo strumento alternativo di notifica degli atti giudiziari, che, quando il destinatario è dotato di valido e registrato inidirzzo PEC, possono essergli molto più comodamente notificati attraverso tale canale telematico, senza necessità di ricorrere all’altrimenti inevitabile attività di notificazione tramite Ufficiale Giudiziario.
La notifica tramite Ufficiale Giudiziario resta quindi, oggi, l’unica percorribile, solo nei confronti di soggetti privati che non abbiano un proprio indirizzo PEC e che non abbiano eletto domicilio digitale presso la PEC, ad esempio, del proprio avvocato difensore.
Tra i privati cittadini si è detto che sono tenuti a dotarsene per legge coloro che esercitino attività di imprenditori individuali o i professionisti, per cui è evidente che tali indirizzi PEC riguardino le rispettive attività.
Ma poiché l’indirizzo PEC è legato al codice fiscale, ed il codice fiscale indentifica il privato come persona fisica, non solo e a prescindere dalla sua attività imprenditoriale o professionale, ci si domanda se, come parrebbe logico, le notifiche via PEC possano essere validamente esperite anche con riferimento ad atti e/o contenziosi che non riguardino l’attività di impresa o la professione del titolare della casella PEC.
In ragione del processo di semplificazione e deburocratizzazione della pubblica amministrazione avviato con l’avvento del Codice dell’Amministrazione Digitale, la risposta dovrebbe essere positiva, ma in questa fase di transizione, purtroppo, ancora non è così.
Con l’Ordinanza del 26.1.2019, ad esempio, il Tribunale di Roma ha ritenuto NULLA la notificazione a mezzo PEC effettuata a soggetti privati che, al di fuori dall’esercizio di un’impresa o professione, non abbiano preventivamente rilasciato il proprio espresso consenso alla ricezione di notifiche a mezzo PEC, e ciò in quanto l’art. 3-bis comma 1 (primo periodo), della Legge n. 53/1994 si limita a prevedere che “la notificazione con modalità telematica si segua a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi” senza nulla aggiungere, mentre l’art. 3-bis comma 4-quinquies del D.lgs 82/2005 consente ai soggetti non obbligati ad avere una PEC di eleggere il domicilio presso una casella PEC, per cui senza apposito consenso la notifica non si perfezionerebbe.
La questione era già stata in precedenza affrontata dalla Corte d’Appello di Torino, che l’aveva però risolta in senso opposto, certamente più conforme alle esigenze di digitalizzazione correnti.
Senza contare, peraltro, la difficoltà anche pratica che conseguirebbe alla necessità di dovere associare al medesimo code fiscale due diverse caselle PEC, una professionale/imprenditoriale ed una personale.
Tuttavia, il dubbio introdotto dal Tribunale di Roma non è isolato, ed è stato confermato, per altri versi, anche ina una recente nota del Garante Privacy al Ministero dell’Interno, resa nota dal Ministero lo scorso 17 dicembre, ed avente ad oggetto proprio l’uso della Posta elettronica certificata riferita a professionisti individuali, da parte della Polizia locale, per la notifica di violazioni del Codice della strada, come prevista dal D.M. 18 dicembre 2017 e dalla relativa circolare applicativa.
Il Garante Privacy si è occupato della specifica norma che, dall’inizio del 2018, consente la notifica delle violazioni al Codice della Strada via PEC per affermare che, nel particolare caso del professionista iscritto al registro INI -PEC, questo tipo di notifica potrebbe presentare “problematiche” sul fronte della disciplina a tutela dei dati personali, posto che la PEC del professionista, può, per ragioni professionali, essere consultata anche da collaboratori di studio, con conseguente rischio di violazione della privacy stante l’inserimento nella notifica dei dati personali del professionista destinatario della multa. Tale raccomandazione, secondo il Garante, è da ritenersi valida sino alla piena attuazione dell’Indice Nazionale dei Domicili Digitali, nel quale i professionisti potranno – secondo il Garante – registrare una diversa PEC di domicilio digitale personale.
Tuttavia il CAD sembra precludere l’iscrizione di un domicilio digitale personale ai professionisti iscritti in albi ed elenchi (art. 6 quater comma 2): il loro domicilio digitale è l’indirizzo iscritto in INI-PEC e il loro solo diritto è quello di “eleggerne uno diverso”, non di eleggerne uno personale, anche perché ciò significherebbe duplicare gli indirizzi PEC associati al medesimo codice fiscale, con evidente pericolo di confusione.
Analoghe considerazioni e conclusioni, a parere della scrivente, valgono anche con riferimento alle notifiche di multe del titolare dell’impresa individuale al cui codice fiscale sia associato l’indirizzo PEC dell’impresa.
Dovremmo dunque attenderci che, a seguito della nota del Garante, non ci saranno più notifiche di verbali del codice della strada a PEC legate all’attività, e, se ci saranno, si potrà valutarne la validità ed eventualmente valutare la denuncia di violazioni sotto il profilo privacy.
D’altra parte, resta la considerazione che una maggiore semplificazione delle procedure agevolerebbe moltissimo tutti gli operatori del processo, e che, oggettivamente, se il collaboratore del professionista o dell’imprenditore titolare della EC ha accesso alla casella, evidentemente vi è stato autorizzato; senza contare che anche la notifica tradizionale apre alle stesse problematiche di privacy, posto che può essere ritirata anche da terzi soggetti diversi dal destinatario.
Diciamo quindi che persiste ad oggi questo lungo periodo di transizione, che presenta arresti sicuramente legati ad esigenze di tutela garantista, che purtroppo, però, spesso hanno la conseguenza di rallentare il definitivo passaggio alla digitalizzazione e prestano il fianco al proliferare di possibili eccezioni procedurali e di invalidità, liberamente interpretabili dagli operatori del settore in base alla convenienza del caso, il che crea grande confusione e incertezza del diritto.