Quando una persona muore i soggetti chiamati ad acquisire la qualifica di eredi, individuati per legge o per testamento, sono chiamati ad accettare l’eredità del defunto, così diventandone eredi a tutti gli effetti e subentrando nei suoi rapporti giuridici, attivi e passivi. ll semplice fatto di essere chiamato all’eredità, infatti, non è sufficiente per l‘acquisto della qualità di erede, a ciò occorrendo un formale atto di accettazione da compiersi entro il termine di 10 anni dall’apertura della successione.
L’accettazione può essere espressa, da manifestarsi davanti ad un notaio o al cancelliere del competente tribunale, ovvero anche tacita, in alcuni residuali ipotesi in cui, ad esempio, il chiamato all’eredità fosse già al momento della morte del de cuius nel possesso del bene (è il classico caso in cui il chiamato vivesse già nell’immobile lasciatogli in eredità).
Ma non sempre è scontato che i chiamati all’eredità intendano diventare eredi, o per ragioni personali, ad esempio perché si vuole interrompere ogni rapporto con il de cuius, oppure per ragioni di oggettiva sconvenienza della scelta, come quando, ad esempio, il de cuius abbia lasciato solo debiti.
In tutti i casi in cui il chiamato all’eredità non vuole accettarla, a prescindere dalle ragioni, può rinunciarvi con esplicito atto di rinuncia.
Ma che cosa succede quando un soggetto rinuncia all’eredità? A chi si accresce la sua quota?
Diversamente da quanto in molti possono pensare, essa non si trasmette agli altri chiamati all’eredità (ad esempio: la quota di eredità rinunciata dal figlio passa al coniuge superstite), ma, in base al principio della rappresentazione, si trasmette a favore dei soggetti che sarebbero stati chiamati a succedere al posto del rinunciante se questi non vi fosse stato. Così il figlio (rappresentante) è chiamato a succedere in luogo del genitore (rappresentato) che non voglia o non possa accettare l’eredità, acquistando di conseguenza il diritto ad ereditare la quota che sarebbe stata devoluta al genitore rappresentato.
Lo scopo della rappresentazione è quindi quello di evitare che i figli, ai quali perverrebbero i beni che il loro ascendente abbia ereditato, debbano perdere tali beni ereditari qualora l’ascendente non partecipi all’eredità del proprio discendente.
Anche in favore del rappresentante vige chiaramente il diritto di rinunciare all’eredità.
Ma che fare quando, come spesso accade, il rappresentante subentrato nell’asse ereditario è un minorenne?
I minorenni, infatti, non possono autonomamente decidere se accettare o rinunciare all’eredità.
Questa decisione spetta a chi è responsabile del minore, ossia i genitori esercenti la potestà o il tutore, che possono rinunciare all’eredità in nome e per conto del minore, solo al ricorrere di specifiche condizioni di necessità o utilità per il minore e solo previa autorizzazione del Giudice Tutelare del luogo in cui il minore ha la residenza.
Si tratta di una norma posta evidentemente a tutela e garanzia del minore, per verificare che, veramente, la rinuncia risponda al suo interesse e non, ad esempio, alla mera volontà del genitore di interrompere i rapporti con la famiglia di origine.
I genitori, tramite un legale, dovranno quindi rivolgersi con apposita istanza al Giudice Tutelare e, esposte le ragioni del caso, chiedergli di essere autorizzati a rinunciare all’eredità del figlio minore, allegando atti e documenti a dimostrazione del fatto che ciò è maggiormente rispondente ai suoi interessi, ad esempio per l’ingente presenza di debiti.
Così facendo, i genitori pongono il proprio figlio al riparo da future antipatiche scelte o decisioni, tacitando definitivamente le pretese di eventuali creditori del de cuius ancora insoddisfatti che, al compimento della sua maggiore età, potrebbero tentare la soddisfazione dei propri crediti nei suoi confronti.
Va tuttavia precisato che, come chiarito anche dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 15267/19, in assenza di accettazione di eredità (che in caso di minori può essere eseguita dai suoi rappresentanti legali solo con benefico di inventario, e sempre previa autorizzazione del giudice tutelare) il minore non acquista la qualità di erede ma di semplice chiamato all’eredità, per cui, se una volta divenuto maggiorenne non accetterà l’eredità, o vi rinuncerà, le pretese dei terzi non potranno trovare soddisfazione nei suoi confronti.
Trattasi quindi di una scelta di responsabilità che i genitori sono chiamati a compiere nell’interesse dei propri figli, anche solo per metterli al riparo da future spiacevoli situazioni che, se gestite prima, non avrebbero lasciato strascichi di sorta.
Proprio per tale importanza la legge prevede che sia necessario l’intervento di un giudice a tutela del minore, e di un avvocato, che assista i genitori in questo delicato percorso e li sappia consigliare, secondo logiche giuridiche e di buon senso, nel preminente interesse del minore.
Lo Studio dell’avv. Silvia Lolli si occupa anche di tali questioni, e può essere un valido referente anche solo per cercare di avere le giuste e chiare informazioni e comprendere come muoversi al meglio e per il meglio dei propri figli.